Il processo terapeutico neonato- genitore per il trattamento dei primi segni di Autismo
In passato, si sono alternati diversi metodi di trattamento dell’autismo. Gli articoli originali di Leo Kanner, (1943) lo psichiatra del John’s Hopkins Medical Center che per primo ha descritto il disturbo definendolo autismo, si riferiscono alla difficoltà costituzionale del bambino con la connessione affettiva. Tuttavia, i trattamenti psicoanalitici hanno iniziato a concentrarsi sugli aspetti della genitorialità, come era prassi per i trattamenti per bambini all’epoca. È in questa cornice che si diffonde il concetto di “madre frigorifero” (Bettelheim, 1967): termine coniato per indicare un atteggiamento distante o distaccato delle mamme dei bambini a cui è stato diagnosticato l’autismo. Se pensiamo a che partner sociali confusivi possano essere questi bambini per i loro genitori, e al dirupo emotivo in cui possono cadere i genitori nel tentativo di relazionarsi, non sorprende che i bambini diagnosticati per la prima volta a 6 o 8 anni abbiano genitori che sembrano distaccati o richiusi su se stessi. In reazione al focus sui deficit genitoriali, che i comportamentisti chiamavano “biasimo sui genitori”, i principi di analisi comportamentale applicata, o ABA (Lovaas, 1987), sono sembrati un sollievo per alcune famiglie. Da quel momento le equipe di trattamento sono state disponibili a lavorare con il bambino per molte ore alla settimana, concentrandosi sui suoi deficit, senza analizzare la psiche o la storia dei genitori ma semplicemente invitandoli a partecipare a riunioni di gruppo con professionisti interamente centrate sul comportamento osservabile. Le difficoltà del bambino vengono quindi pensate situate esclusivamente all’interno del bambino stesso, senza alcuna influenza della genitorialità. Questa modalità di trattamento ha funzionato bene per alcuni genitori e funziona ancora per alcune famiglie. Il video seguente mostra l’ABA con un bambino che mostra i primi segni di disturbo dello spettro autistico (DSA). Si noti come il terapista si concentri sulle azioni e sui comportamenti misurabili, non sulla qualità emotiva dell’interazione con il bambino.
Molte famiglie hanno seguito le evidenze della ricerca biomedica che indica chiaramente come l’autismo sia un disturbo biologicamente fondato innescato da molteplici fattori costituzionali e ambientali. La ricerca ha mostrato alle famiglie e ai professionisti come i genitori non siano i responsabili del disturbo dei loro figli. Questo ha lasciato la porta aperta per una visione più evolutiva e interpersonale sulle modalità dell’intervento per i bambini con autismo da parte dei genitori. Anche nei gruppi di trattamento ispirati all’ ABA, i genitori sono ora considerati come partecipanti chiave per lo svolgimento diretto del trattamento del loro bambino (Schreibman, et. al. 2015). Gli interventi mediati dai genitori sono considerati i più promettenti perché il bambino è maggiormente coinvolto nella relazione con il genitore, il che pone il genitore nella posizione migliore per aiutare il bambino a diventare sociale e ad imparare. Ricerche in psicologia dello sviluppo hanno mostrato come l’apprendimento precoce del bambino avvenga grazie alla considerazione positiva che il genitore ha del bambino, così come nei momenti di scambio sociale in cui il genitore interpreta il significato emotivo e intenzionale dal comportamento del bambino trasformandolo in significato condiviso per la diade. Con la crescitadelle conoscenza sulla salute mentale infantile, in parallelo con l’espansione della ricerca sullo sviluppo, le evidenze sulle interazioni diadiche neonato-genitore sono state applicate al trattamento dell’autismo. Tra ricercatori e clinici, l’iniziale attenzione sull’associazione stimolo – risposta al bambino si è trasformata nel focus sull’importanza della qualità del rapporto tra il bambino ei genitori. Le aree centrali di interesse nel trattamento sono diventate quindi la sincronizzazione interattiva, la capacità del bambino di iniziativa nell’azione e nell’interazione, la creazione del senso del Sé agente, le risposte adattive e la flessibilità del pensiero e del comportamento. Questi autori ha anche compreso la relazione diretta tra le capacità motorie e sensoriali precoci e la doppia lettura della propria esperienza che il bambino compie in termini sensoriali e affettivi.
L’effetto del bambino sui genitori
Le ricerche sui neonati hanno mostrato come la sensibilità materna sia un fattore chiave per determinare la qualità della relazione tra il neonato e il genitore (Ainsworth and Bell 1970, Lieberman & Pawl 1993, Slade 2006, Oppenheim, et.al. 2008). Con “sensibilità materna” ci si riferisce alla capacità del genitore di tenere nella mente il proprio bambino, di pensare empaticamente alle sue intenzioni e al significato del comportamento nei propri confronti. La sensibilità materna acquista complessità quando si pensa all’effetto delle risposte e del comportamento del bambino sul genitore stesso; ad esempio, come fa il genitore a attribuire un significato al comportamento del suo bambino quando quest’ultimo è iper o ipo – reattivo agli stimoli del mondo interpersonale? Un neonato sovrastimolato dalle mutevoli espressioni sul volto del genitore, o che se ne allontana in modo autoprotettivo, ha un effetto potente sulla capacità innata dei genitori di interpretare il significato del comportamento del bambino e questo, a sua volta, sulle loro reazioni nei suoi confronti. Come una madre di sei mesi mi ha detto: “Come madre, voglio solo che la mia bambina sia felice e lei sembra più felice se lasciata da sola”. Il genitore che è costretto attendere ben oltre la normale aspettativa interattiva che il bambino si riconnetta con lo sguardo, si confonde e si ritira. Sottili cambiamenti nell’espressione facciale o nella tensione corporea possono segnalare al bambino che la mamma non è più coinvolta. La coppia perde così i reciproci segnali di intenzione all’interazione e non riesce a costruire la ritmicità sincrona che costituisce la base per il piacere reciproco nella relazione. Questo sistema dinamico viene così cambiato da ripetute esperienze di fallimento nella reciprocità o nella sintonia. Il sistema inizia quindi a caratterizzarsi per il ritiro fisico, l’arresto dell’esplorazione sensoriale attraverso lo sguardo, la fuga o il congelamento nelle risposte e la mancata coordinazione tra attività motoria e ritmica vocale. Il genitore che aspettava il piacere di stare con il proprio bambino, può diventare sopraffatto dal dolore e dalla tristezza e involontariamente comunicarle non verbalmente al bambino stesso.
Il ruolo del terapista
Spesso, quando un terapista entra nel mondo di una famiglia, si sono già creati schemi di comunicazione e interazione insoddisfacenti e i genitori hanno già assegnato un certo significato al comportamento del bambino. Nella mia esperienza, ho sorpreso un genitore dire “non ti piaccio proprio oggi” al proprio bambino di soli due mesi d’età che si allontanava al suono della sua voce. In questo caso, il ruolo del terapista è sia empatizzare con il dolore del genitore, sia offrire speranza in termini di aiuto concreto nella comprensione degli ostacoli costituzionali e ambientali che limitano la capacità del bambino di sperimentare piacevoli interazioni sostenute nel tempo. Il terapista può aprire la strada alla conoscenza della reattività sensoriale e all’osservazione diretta del bambino. Vi sono due componenti essenziali dell’osservazione: in primo luogo occorre considerare se la sensibilità del genitore nel suscitare affettività piacevole e attenzione nel bambino è limitata o bloccata da emozioni poco modulate. In secondo luogo, considerare come il genitore possa non comprendere la comunicazione unica e idiosincrasica del bambino e il profilo sensori-motorio. Il terapista può offrire supporto e rilettura di queste due aree di osservazione, così come aiutare il genitore a capire come una influenzi l’altra. Le limitazioni sensoriali e motorie del bambino sono infatti raramente la spiegazione a cui spontaneamente pensa il genitore che si sente emotivamente respinto dal comportamento di auto-protezione del bambino. Il bambino tuttavia sta agendo per contenere stimoli eccessivi che minacciano di aggredire il suo fragile sistema nervoso. Nel suo comportamento il bambino non è consapevole del mondo sociale. L’esito che spesso osserviamo è che, proprio nel momento in cui il bambino ha più bisogno della co-regolazione con i genitori, il genitore si ritira dal contatto. Il lavoro del terapista è quindi “spiegare” il bambino al genitore abbastanza bene da mantenere il genitore impegnato e disponibile allo sforzo eroico di co-regolazione con un bambino difficile da leggere.
Trappole nella strategia d’intervento
Ci sono molte tentazioni nel lavoro con un bambino difficile da raggiungere, resistente al coinvolgimento e evitante verso il contatto interpersonale. La tentazione di aumentare la stimolazione, diventare più forte, più grande, più veloce o più fisico nasce dall’idea che il bambino stia evitando l’interazione perché non riesce bene a sentire, vedere e così via e quindi con maggiore intensità, il bambino risponderà. Nella mia esperienza, anche il neonato più iporeattivo che necessita di espressioni mimiche affettive, vocalizzazioni e movimenti più ampi e visibili, eviterà comunque la stimolazione multisensoriale vocale e fisica troppo veloce che accompagna solitamente l’approccio “più è meglio”. Un’altra tentazione è quella di affidarsi a giocattoli e oggetti per attirare il suo interesse o per distrarlo dal disagio. Solitamente questo approccio non porta a creare il contatto e, anche riuscendo forse a distrarre il bambino momentaneamente, lo lascia isolato dal genitore. Cercare di insegnare qualcosa al bambino piuttosto che provare a creare una connessione emotiva e sociale è ciò che spesso far venire meno la prima fase di costruzione della relazione e di apprendimento alla lettura e alla risposta verso le intenzioni del nostro partner interattivo. Nonostante sia più semplice raccogliere dati sui momenti di imitazione motoria o vocale, è più significativo tenere traccia dei momenti di sintonia affettiva.
Processo parallelo
Il processo di terapia bambino-genitore con bambini che mostrano segni precoci di autismo include aspetti anche del processo parallelo, fenomeno in cui il modo di essere del terapista con il genitore modifica il modo con cui il genitore sta con il proprio bambino (Fraiberg, 1980). Il compito del terapista è quindi quello di sostenere la diade e supportare la capacità di ogni membro della famiglia di mantenere la connessione affettiva. Gran parte del lavoro nella salute mentale infantile è calibrato infatti per risolvere le costrizioni nell’esperienza genitoriale che derivano dai fantasmi psicologici del passato del genitore proiettati sul bambino (Lieberman e Pawl 1993, Fraiberg 1980). Gli interventi terapeutici consistono in una combinazione di terapia psicologica orientata all’insight, guida allo sviluppo e supporto pratico (Fraiberg 1980).
Orientamento allo sviluppo
Fornire una guida allo sviluppo richiede un modello di lavoro esteso per i bambini che non rispondono in modo prevedibile a quelle aperture genitoriali che attirerebbero invece la maggior parte dei bimbi durante scambi interpersonali caldi e affettivi. Il terapista lavora come un intermediario, comprendendo le costrizioni che interferiscono con il sistema sensoriale e motorio del bambino e leggendo ai genitori sia ciò che viene osservato sia il motivo per cui il bambino sta lottando contro le proprie risposte psicofisiologiche. Nei momenti in cui le naturali aperture affettive dei genitori non sono ricambiate, occorre affrontare i sentimenti di dolore e confusione. Il terapista ripercorre lo sviluppo insieme ai genitori per capire da una prospettiva sensoriale-motoria come il bambino stia vivendo il proprio mondo, e quali siano i fattori che ostacolano la codifica di questi dati sensoriali e motori come esperienze emotivamente e socialmente piacevoli. Questa forma di orientamento allo sviluppo, che sostiene la sensibilità dei genitori, viene combinato con l’uso di un approccio orientato alla comprensione per affrontare il disagio immediato dei genitori e le vulnerabilità storiche. Insieme, questi interventi aiutano i genitori a mantenersi empatici verso l’esperienza del bambino, riducendo i sentimenti di inadeguatezza nel coinvolgere il proprio bambino e evitando che si ritirino involontariamente dalla relazione.
Ecco un esempio dell’uso della guida allo sviluppo al servizio del supporto emotivo della relazione.
I genitori di Henry sono sconcertati da come il bimbo si ritiri prima del dovuto dal contatto interpersonale. A 20 mesi di età, alterna momenti di soddisfazione a momenti di irritabilità; queste fluttuazioni avvengono in gran parte quando uno dei genitori tenta di competere con l’ossessione del momento per un particolare oggetto. Sono consapevoli di quanto Henry ami la musica e risponda in modo sistematico ai suoni ritmici. Durante una sessione, Henry si avvicina a un grande contenitore di giocattoli svuotandolo per toccarne il fondo di metallo e il coperchio. Invece di concentrarsi sulle proprietà costruttive del giocattolo, il terapista suggerisce che dei bastoncini all’interno possono essere trasformati in bacchette e il contenitore possa essere utilizzato come un tamburo. Henry risponde positivamente a questa idea e sbatte ripetutamente sul coperchio. Il terapista suggerisce al genitore di unirsi a lui nell’attività e trovare un momento in cui sintonizzarsi con il ritmo del bambino e creare una pausa dell’azione insieme, riprendo insieme a lui immediatamente quando comincia a battere di nuovo. Questa attività condivisa fa di Henry il direttore della banda e apre la porta alla co-regolazione reciproca. Il terapista si unisce alla madre e Henry e tutti e 3 danno il via a una banda di batteristi con reciproca influenza sul ritmo da seguire. Nella vivacità di questa attività, la mamma nota con dispiacere come Henry cerchi il terapeuta con lo sguardo per condividere il piacere e segnalare quando tornare a battere ogni volta che tutti si fermano per la pausa. Pur senza parole, il terapista cattura l’espressione afflitta sul volto della madre e la sua modificazione della postura corporea. Ipotizza il motivo della preferenza di Henry per lo sguardo verso sé piuttosto che verso il genitore e offre un suggerimento alla madre: “cambiamoci posto. Penso che a Henry così stia venendo più naturale guardare verso destra. Se ti siedi qui, riuscirà a vederti meglio”. Con la madre alla destra di Henry, il bimbo inizia a rivolgersi al genitore per condividere la piacevolezza delle pause insieme nella percussione e le sorride non appena riprendono a suonare di nuovo. Nell’interazione che è seguita a questo scambio, il terapista è stato in grado di aiutare i genitori a valutare sia i processi motori e sensoriali che limitano o fanno deragliare l’inclinazione naturale di Henry a coinvolgersi con i propri genitori, sia a modificare l’errata interpretazione del comportamento del bambino che in realtà cela un intento sociale ed emotivo. In questa situazione, e in altre simili, i genitori appaiono molto più propensi a interiorizzare il significato delle proprie reazioni emotive al comportamento del bambino di quanto non lo siano se diamo loro soltanto spiegazioni costituzionali. Gli interventi del terapista aiutano i genitori a percepire il bambino come intrappolato dal proprio corpo, piuttosto che intenzionato consapevolmente a rifiutare i loro sforzi nel creare momenti di intimità. Il supporto terapeutico permette ai genitori di mantenere l’empatia con il bambino e iniziare un viaggio con il terapista per imparare insieme a promuovere il coinvolgimento.
Il ruolo del professionista
Infine, vorrei soffermarmi sul ruolo del terapista nel processo di cura. Non abbiamo né il modello di rischio né i criteri diagnostici per poter fare di più oltre al condividere la preoccupazione dei genitori sul significato diagnostico ultimo che hanno le risposte precoci e il comportamento del bambino. Tuttavia, quando i genitori sono preoccupati da quanto sia difficile catturare l’attenzione del proprio bambino sui loro volti e sulle loro voci, quando il neonato si più calma più facilmente se lasciato solo e si inarca all’indietro per evitare il contatto corporeo con papà o mamma, o ancora quando si volta dall’altra parte all’avvicinarsi del volto del genitore, abbiamo abbastanza informazioni per offrire il nostro sostegno e la nostra competenza. I professionisti non dovrebbero sottovalutare l’impatto sui genitori di vedere riconosciute le proprie preoccupazioni come reali e degne di attenzione. La posizione terapeutica, a fianco del bambino e del genitore, permette al terapista di prestare i propri affetti vitali (Stern, 1985, 2010) per organizzare l’esperienza tra genitore e bambino. Una postura rassicurante o il tono di voce calmo, un commento a ritmo lento o un’espressione facciale mantenuta un po’ più a lungo danno alla diade una pausa significativa dal ritmo intenso intenso dell’esperienza affettiva e permettono al bambino di riposare e modulare l’arousal per trovare l’auto-regolazione necessaria per mantenere il contatto con i suoi genitori. In sintesi, il nostro ruolo come terapisti è quello di offrire sensibilità emotiva e sviluppare l’intuizione nei genitori, creando una comprensione condivisa delle difficoltà che stanno avendo nel trovare un contatto intimo con il proprio bambino. Quando i genitori capiscono come questi ostacoli siano dovuti alle qualità costituzionali uniche del loro bambino, diventano più empatici, superando il proprio disagio e mantenendo lo sforzo interattivo anche per conto del loro bambino.
RIFERIMENTI (Parte 3) Segni precoci dell’ASD
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